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Ageismo: sembra il nome di un nuovo movimento invece è solo una forma di discriminazione invisibile


Il termine ageismo è l’italianizzazione di ageism, un termine della lingua inglese coniato nel 1969 dallo psichiatra e gerontologo statunitense Robert Neil Butler e usato per indicare gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni basati sull’età.

“L’ageismo è un fenomeno diffuso a livello culturale: basta vedere la rappresentazione mediatica della terza età e dell’invecchiamento. Questi stereotipi sono talmente radicati in ognuno di noi che è anche molto difficile percepirli come tali. In un periodo storico in cui il tema della diversity è sempre più importante, comportamenti razzisti, omofobi o sessisti vengono giustamente sempre più stigmatizzati; tuttavia, sembra che ancora non ci sia la stessa consapevolezza rispetto all’età, tema altrettanto delicato e fonte di discriminazioni a vari livelli: culturale, lavorativo, familiare, sociale” spiega Eleonora Selvi, giornalista ed esperta di Healthy ageing.


Sebbene, di solito, si ritiene che pensieri e comportamenti di questo tipo riguardino soltanto le persone anziane, l’ageismo può interessare allo stesso modo anche i giovani: chiunque, infatti, nel corso della sua vita, può essere vittima di questo genere di discriminazioni. Gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni basati sull’età di un individuo sono tre aspetti molto collegati: corrispondono rispettivamente al modo di pensare, a ciò che si prova e alle azioni che ne derivano. Essendo basato solamente sull’età, l’ageismo è universale: prescinde da genere, sesso o disabilità. Inoltre, coinvolge moltissimi ambiti delle interazioni sociali, facendo una distinzione tra:

  • ageismo istituzionale, quando un’istituzione adotta questa modalità di pensiero e azione;

  • ageismo interpersonale, nelle relazioni tra due o più persone;

  • ageismo interiorizzato, quando la persona stessa ha introiettato certe convinzioni e le applica su di sé.

Spesso veniamo influenzati dallo stereotipo dell’anziano solo, malato e abbandonato e ci ritroviamo senza rendercene conto ad adottare comportamenti come alzare il volume della voce o semplificare eccessivamente il linguaggio con un familiare o un paziente, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Questi comportamenti aumentano la distanza tra noi e l’anziano, mostrando poca empatia e creando barriere che in molti casi ostacolano il processo di guarigione.

Secondo un recente rapportoGlobal report on ageism” realizzato da OMS, Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali (DESA) e Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), tutte le istituzioni più importanti in ambito salute, sistemi sociali e legali, sono influenzate dall’ageismo.

Questi pregiudizi legati alle età sono causa di discriminazioni, ma soprattutto hanno delle forti ripercussioni sulla persona che li subisce: secondo il report l’ageismo causa un netto peggioramento della salute fisica e mentale, riflettendosi su una minore qualità della vita e portando in alcuni casi alla morte prematura.

Il comportamento della società verso gli anziani li porta sempre più ad auto isolarsi. Questa tendenza, sommata alle difficoltà economiche spesso presenti, fa sì che le persone si ammalino più facilmente.

Questo fenomeno, è più evidente in un Paese come il nostro nel quale le persone anziane rappresentano una grande fetta della popolazione. Le aspettative di vita aumentano ed è quindi necessario fare tutto il possibile perché gli anziani tornino a essere considerati una parte importante e attiva della società, a partire dalla famiglia, ma soprattutto a livello istituzionale. La discriminazione basata su una presunta fragilità è pur sempre una discriminazione e va eliminata, evitando che possa influire sul benessere psicofisico delle persone.


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