top of page

Come la musica può avere effetti sorprendenti sull' alzheimer

La musica può avere un forte impatto sulle persone affette da demenza e Alzheimer: è quanto emerge da uno studio della Northwestern University (Usa), in collaborazione con l’Institute for Therapy through the Arts (ITA). È stato dimostrato che le emozioni prodotte dall’ascolto di musica amata durante la giovinezza resisterebbero alla malattia.


Le persone affette da malattia di Alzheimer, o da altre forme di demenza, si trovano di fronte a un mondo sconosciuto che causa disorientamento e ansia. Questa nuova scoperta suggerisce che la musica potrebbe rendere questi sintomi più gestibili e migliorare la qualità di vita di questi pazienti.

I ricercatori hanno osservato che quando i malati di Alzheimer o demenza ascoltavano della musica legata a immagini e ricordi passati, i sintomi dell’ansia, dell’agitazione e della depressione miglioravano. È stato effettuato un test sui pazienti: le musiche legate ai ricordi della giovinezza sono state suonate dal vivo. Durante la sessione i pazienti cantavano, ballavano e suonavano alcuni strumenti, come i tamburelli. Al termine si è svolta una conversazione di gruppo durante la quale i pazienti risultavano socialmente più coinvolti, meno agitati e più sereni rispetto a quando ricevevano le cure quotidiane classiche.


Lo studio, ha focalizzato l’attenzione sul funzionamento del Salience Network (SN): una rete cerebrale con lo scopo di rilevare e elaborare stimoli significativi per l’individuo. Sorprendentemente, questa regione collegata con le strutture limbiche, viene risparmiata dagli effetti della malattia.

Si ritiene che la musica abbia accesso al Salience Netowrk, che in questi pazienti non viene intaccato, nonostante possano già aver perso l’uso del linguaggio o di altri ricordi. La scoperta ha mostrato anche il legame che si crea, in questo caso, con i caregiver, gli operatori familiari e i familiari, che permette di trascorrere dei bei momenti.


Lo studio sperimentale è consistito nella creazione di una playlist di canzoni significative scelte dai partecipanti, insegnando loro e ai caregivers a utilizzare un lettore multimediale portatile. Attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI) durante l’ascolto dei brani scelti e in condizioni di controllo, tramite le imaging cerebrali emerge che la musica riesce ad attivare alcune aree del cervello. Si crea comunicazione tra diverse regioni come quella visiva, prefrontale, cerebrale e Salience Network con una connettività molto elevata rispetto alle situazioni di controllo.

Nonostante i risultati sorprendenti, questo studio ha anche alcuni limiti: la sperimentazione si è basata su una sola sessione di imaging per ciascun paziente per cui non possiamo giungere a conclusioni certe. Inoltre, il campione di sole 17 persone potrebbe essere poco rappresentativo. Nonostante ciò, si tratta comunque di un enorme passo avanti verso una nuova strada tutta da scoprire.


Anche Norman Foster, uno degli autori dello studio e direttore del centro per l’Alzheimer presso l’University of Utah Health ha affermato:

Questa è una prova oggettiva che dimostra come la musica con una valenza personale possa essere una strada alternativa per comunicare con pazienti affetti da malattia di Alzheimer. La memoria linguistica e visiva sono danneggiate precocemente con il progredire del morbo, ma programmi musicali individualizzati possono attivare il cervello specialmente in quei pazienti che perdono il contatto con la realtà.




bottom of page